Quale incipit? Il gioco continua

buzzatiAltre conferme del fatto che gli insegnamenti dei bravi scrittori vanno seguiti (primo diktat in assoluto: «Per imparare a scrivere occorre avere molta voglia di leggere»). Poi, in ordine di lettura, «l’importanza dell’incipit per capire subito il valore e lo charme di un romanzo». Perciò qui prosegue l’elenco di incipit interessanti, inaugurato in un precedente post:

  1. «Non occorre saper giocare a poker per capire quello che mi è successo, e mi è successo qualcosa di grave».
  2. «Era una passeggiatrice, ma ci vedeva poco».
  3. «La famiglia che abita sopra di noi ha da qualche anno il vento in poppa».
  4. «Pierre, in giardino c’è qualcosa che non va, – disse Sophia».
  5. «Era stato staccato un pannello della cattedra per guardare le gambe della supplente»
  6. «Matilde era una modista di Parigi appena ventenne quando fu sedotta dal Barone».
  7.  «Erano insieme: erano felici».

fredTutti diversamente irresistibili: senza distinzione di epoca, di impegno, di fama, di genere letterario, e tantomeno di genere. È soltanto la segreta maestria con la quale i narratori usano il linguaggio: preludio dello stile che proseguirà nel corso di tutto il romanzo, rendendolo senza dubbio più interessante rispetto ad altri. Quasi una garanzia.  Ognuno può convincersene facendo un po’ di scouting nei propri scaffali. È un gioco divertente, e anche molto istruttivo.

Per contrasto, ecco l’incipit un altro romanzo preso a caso dalla mia biblioteca: «Nel monastero di Santa Radegonda in Milano visse e operò, all’incirca dalla prima metà del 1700, tale Rosalba Guenzalina, monaca benedettina». fotoEcco, senza offese per nessuno, io questo libro non lo sceglierei. E comunque, per rispetto nei confronti di tutti, non dirò il titolo. Mentre cito una volta di più Giuseppe Pontiggia, maestro di scrittura creativa e virtuoso come un musicista virtuoso (forse persin troppo!) nell’incipit del romanzo La grande sera: «Dopo aver atteso altri dieci minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale, cominciò ad avere paura».

Per giocare al quiz, tutti gli altri titoli sono qui sotto. Come sempre, buona lettura.

1. e 2. Giorgio Scerbanenco, Milano calibro 9
3. Dino Buzzati, Siamo spiacenti di
4. Fred Vargas, Chi è morto alzi la mano
5. Erri De Luca, In alto a sinistra
6. Anaïs Nin, Il delta di Venere
7. Irène Némirovsky, I doni della vita

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Ma le virgolette no.

virgoletteSi vive meglio senza le virgolette. E diciamolo, senza timore di offendere nessun utilizzatore abusivo della punteggiatura. Chi l’ha insegnato? Raffaele Crovi e Giuseppe Pontiggia, scrittori italiani del ‘900 e anche consulenti editoriali, i quali nel lontano 1984 furono maestri e organizzatori dei primi corsi di scrittura creativa in Italia, che ebbero luogo al Teatro Verdi di Milano: corsi annuali in cui prima di tutto si imparava a leggere, navigando nella letteratura di tutti i tempi.

croviE dopo, si ragionava sulle regole da rispettare per scrivere e farsi leggere, prima tra tutte “Mai le virgolette: ovvero (come in questo caso) bisogna usarle soltanto a proposito, cioé per definire un enunciato, una citazione, un soprannome. Perché? pontiggiaPerché – dicevano Crovi e Pontiggia – le virgolette usate in tutti gli altri casi invece interrompono la lettura, mettono a disagio il lettore e gli fanno perdere la tensione emotiva suscitata da quel contenuto. Scrivere per esempio di una “casa” in cui possono ritrovarsi i sinceri democratici, oppure di una proposta per i “giovani”, sortisce l’effetto di far fermare chi legge per chiedersi “In che senso?” (quest’ultimo, invece, uso appropriato), rendendo confuso il messaggio. I bravi scrittori queste cose le sanno. Ma tanti giornalisti e comunicatori invece no. E qualche volta, il giornalismo e la comunicazione hanno molto bisogno di essere efficaci. Forse ancora di più della letteratura.

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