Ma che bella commedia!

commediaConsigliatissimo: perché si ride, e molto, e fin dall’inizio, tuffandosi nella lettura del’ultimo romanzo di Piersandro Pallavicini che comincia così: «Sto per decollare verso Londra, dove dovrei sistemare le cose con quel mentecatto di mio fratello Edo». Un incipit, una garanzia (come insegnavano i mai dimenticati maestri Crovi e Pontiggia, pionieri dei primi corsi di scrittura in Italia). Si ride perché in questo Una commedia italiana si incontrano quei pittoreschi personaggi che hanno popolato il Bel Paese dagli anni ’60 al terzo millennio: con i cognomi tipici del Nord Italia, protagonista in prima linea del boom economico che ha sovvertito il destino e la collocazione sociale di molte famiglie, elevate di rango grazie alle occasioni straordinarie che quell’epoca offriva. Ai tempi si chiamavano “gli arricchiti”, o anche “i salumieri arricchiti”(con mezzi più o meno leciti). E infatti Alfredo Pampaloni, oriundo di Pontedera e milanese di adozione, ex operaio della Galbani, è diventato un importante industriale del formaggio: con casa alla Maggiolina e un’altra villa in montagna, avveniristica e sontuosa; con tanto di Jaguar per correre a Saint-Tropez dove ci sono Brigitte Bardot e Gunther Sachs. È amico di Tognazzi, Dorelli, Gassman. Forse. Se non sono panzane per farsi bello agli occhi del volgo, quello stesso da cui lui proviene. Chissà.

Il libro non l’ho ancora finito, mi mancano 25 pagine e me le sto centellinando: quindi non so ancora come va a finire la questione dell’eredità, anche se gli indizi sono molto eloquenti (come invece insegnava il maestro per eccellenza Hitchcock nei suoi memorabili film). Prevedo e faccio il tifo perché arrivi il sacrosanto momento del riscatto per Carla, voce narrante della travagliata vicenda, che ad ogni pagina mi sono chiesta come potesse essere così bene interpretata da uno scrittore uomo. PallaviciniMi aspetto che il meccanimo narrativo funzioni perfettamente, proprio come un giallo. E credo che non rimarrò delusa perché ho capito, mentre mi divertivo seguendo i fatti (a volte ridendo anche da sola, fragorosamente), che Pallavicini ha una marcia in più: di mestiere fa lo scienziato; lo dice la biografia in copertina compresa di account Facebook, e lo so perché ho la fortuna di averlo tra i miei contatti, motivo grazie al quale ho scoperto questo libro. Ecco allora perché le sue storie mantengono per tutto il romanzo quel rigore scientifico impeccabile, nonostante gli accorati intrecci sentimentali che in qualche passaggio fanno inumidire gli occhi. Ma è solo un attimo. Perché subito dopo la risata ha il sopravvento. Insomma, un vero spasso. Che conferma la rassicurante regola “Un libro si giudica dalla prima frase”, come insegnavano i grandi. E anche dall’ultima, aggiungevano. Volete saperla? «Ma, spesse volte, la vita non è soltanto morte, sofferenza, orrore». Accidenti, mi mancano solo 25 pagine!

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Ma le virgolette no.

virgoletteSi vive meglio senza le virgolette. E diciamolo, senza timore di offendere nessun utilizzatore abusivo della punteggiatura. Chi l’ha insegnato? Raffaele Crovi e Giuseppe Pontiggia, scrittori italiani del ‘900 e anche consulenti editoriali, i quali nel lontano 1984 furono maestri e organizzatori dei primi corsi di scrittura creativa in Italia, che ebbero luogo al Teatro Verdi di Milano: corsi annuali in cui prima di tutto si imparava a leggere, navigando nella letteratura di tutti i tempi.

croviE dopo, si ragionava sulle regole da rispettare per scrivere e farsi leggere, prima tra tutte “Mai le virgolette: ovvero (come in questo caso) bisogna usarle soltanto a proposito, cioé per definire un enunciato, una citazione, un soprannome. Perché? pontiggiaPerché – dicevano Crovi e Pontiggia – le virgolette usate in tutti gli altri casi invece interrompono la lettura, mettono a disagio il lettore e gli fanno perdere la tensione emotiva suscitata da quel contenuto. Scrivere per esempio di una “casa” in cui possono ritrovarsi i sinceri democratici, oppure di una proposta per i “giovani”, sortisce l’effetto di far fermare chi legge per chiedersi “In che senso?” (quest’ultimo, invece, uso appropriato), rendendo confuso il messaggio. I bravi scrittori queste cose le sanno. Ma tanti giornalisti e comunicatori invece no. E qualche volta, il giornalismo e la comunicazione hanno molto bisogno di essere efficaci. Forse ancora di più della letteratura.

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