Il mio pavé

Lo scrivo, non lo scrivo (un post sul pavé), pensavo attraversando piazzale Baracca. Poi non vorrei che sembrasse un’invettiva contro la Giunta comunale (in questo caso la neoassessora Carmela Rozza), e non ho intenzione di fare polemiche su dinamiche di potere che non mi riguardano, anche se la gestione politica mi riguarda e mi interessa eccome: in qualità di milanese dalla nascita e grande sostenitrice della mia città in altre epoche più vivaci. Non negli ultimi vent’anni di mortificazione, ovvio. Ma dal 2011 la speranza si era riaccesa. Per fortuna.

Comunque il pavé milanese è sempre stato anche mio: fin da quando ero una bambina di Porta Lodovica e spesso percorrevo corso Italia con la mamma a piedi per andare in centro a “fare le commissioni”. 345gcq9Perciò l’altro giorno mi è venuto dal cuore di fotografare i lastroni rimossi, almeno per ricordo di un piazzale ottocentesco uguale da cent’anni, come mostra questa foto d’epoca (e da sempre anche bello verde, con i suoi giardinetti).
Tutti ammiriamo la pagina di FOTO MILANO SPARITA, comunità Fb con attualmente 57.724 Fan sempre in continuo aumento. voragineAdesso non mi spiego come possa succedere che un’assessora sia autorizzata a decidere che quella pavimentazione (tipica di Milano negli ultimi almeno 500 anni) venga smantellata così, sostituita da una sconfinata colata di asfalto (rosso! mi dicono) senza coscienza della responsabilità che l’intera Amministrazione pubblica si sta prendendo nel progetto di devastazione della città.

mucchioneIn nome di che cosa viene distrutto il pavé? dei costi di manutenzione? Ma la manutenzione dell’asfalto costerà ancora di più: non lo dico io, lo sanno e lo sostengono molti autorevoli addetti ai lavori, purtroppo neanche consultati. Qui Luca Beltrami Gadola il 20 luglio, per esempio.

Le biciclette, sento dire. Anch’io vado in bici, e so quanto spaventosi siano quei tratti di pavé con il binario subito lì a sinistra e il marciapiede a destra, buche comprese (tipo in corso Magenta): infatti in quei casi non esito a salire sul marciapiede, bici alla mano, piuttosto che rischiare la vita. Ma Milano non è mai stata una città molto friendly nei confronti dei due ruote, e non lo diventerà neanche così. Anche perché, volendo e ragionando magari insieme alla cittadinanza, si poteva pensare a qualche pista ciclabile in asfalto sulla destra, possibilmente con il cordone di protezione (le strisce non bastano, gli automobilisti non le rispettano). michelecarsoE poi, l’asfalto in piazzale Baracca e invece lo stesso pavé che sopravvive miracolosamente in via San Michele del Carso? (come si vede in questa foto). Qual è la logica urbanistica? Non si sa e non si capisce. Inoltre, che fine faranno i masselli? Mi dicono che hanno un grande valore…

Insomma attenzione, perché poi succede che gli anni passano e i fatti restano: “La fontana di Cairoli? se l’è presa Bettino; le brutte  fontane di San Babila che hanno stravolto la piazza? colpa di Formentini; gli scavi per i parcheggi sotto Sant’Ambrogio? follie della Giunta Moratti; quel pavé così antico e prezioso soppiantato da un volgare asfalto che si buca ogni anno? l’ha voluto Pisapia…” . Non vogliamo, vero?

Allora fermatevi, se siete ancora in tempo. Non solo ve lo chiede una ex bambina di città, una tra tante e tanti. Ma di sicuro anche i 57.724 e fischia iscritti alla pagina FOTO MILANO SPARITA e molte altre persone che vi stanno guardando. In questo caso, un po’ male.

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La sindrome del semaforo

semaforo-234x164In tanti anni di guida in città ho notato una regola che sembra magica ma non lo è: se ti senti a posto con te stesso, se possiedi un po’ di serenità e di equilibrio, girare in macchina a Milano non è un’esperienza spiacevole come ci si aspetterebbe. Se ti senti bene, succede che all’incrocio, al semaforo, gli altri ti riconoscono la precedenza, rallentano, qualche volta accade persino che ci si scambi un sorriso. Purtroppo vale anche la regola opposta, la più diffusa: ti taglio la strada, ti supero, poi rallento, mi metto sulla corsia sbagliata della svolta a destra ma non mi importa se ti intralcio; oppure so che avresti la precedenza ma me ne frego, perché vado più veloce e quindi sono più furbo. Protetto nel mio personale abitacolo, pronto a scattare facendo gestacci, non capisco che tale atteggiamento è utile solo a star male e a far star male gli altri. Con l’ulteriore effetto collaterale che magari ogni tanto qualcuno scende con il cacciavite, e allora la delinquenza assume risvolti più pulp.

487000_448970021824143_553686337_n«Unica chiave generale: l’odio. Dentro fuori sopra sotto – la colpa è di tutti tranne che di colui che al momento sta urlando più forte il suo odio, con immane certezza.» scrive Giovanna Nuvoletti nel suo Editoriale del nulla su La Rivista Intelligente, ottimo esempio di stile innanzitutto letterario. E aggiunge: «L’odio trilaterale. O anche esagonale. L’odio intestino e intestinale. All’interno di ogni odio altri miniodi reciproci sprizzano». Si riferisce anche a incroci e relazioni  sul web. Perciò, io direi: cerchiamo di essere più intelligenti anche noi.

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Alhambra! piccolo ristorante speciale

C’è un posticino delizioso che si chiama Alhambra, a Milano, in via San Gregorio 17, dove si respira un’aria sprovincializzata come nelle metropoli europee e dove si mangia molto bene spendendo molto poco. Cucina vegetariana garantita dal circuito gastronomico Mens@Sana con tante insolite squisitezze da provare componendo il proprio piatto personale.

Si sceglie, si paga a peso e il conto si aggira intorno ai 10 euro compreso il thé servito in tavola, ma con una discreta scelta di birre e vini. Tutto condotto con molta cordialità da Gebreyasus Tigist, alias Titti, e dalla sua famiglia (marito e figlia). Titti è una simpatica signora eritrea da anni trasferitasi a Milano per fare la mediatrice culturale. Immagino che i pochi tavoli di Alhambra siano presi d’assalto a mezzogiorno per la pausa pranzo di chi lavora in zona, ma l’atmosferà è piacevole soprattutto di sera, grazie all’arredamento etnico, luci soffuse e buona musica jazz di sottofondo. Orario continuato fino all’una di notte, e anche servizio di consegna a domicilio, telefonando al numero 02 39432750. Su richiesta anche piatti tipici eritrei, prenotando alla mattina per il giorno stesso.

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Non tutti hanno voglia di scappare. Magari anche solo di cambiare

Città o campagna? Il libro di Grazia Cacciola/ErbaViola è utile anche e soprattutto a chi vuole migliorare la qualità della vita pur restando a Milano. Buone idee per non farsi stritolare dai meccanismi di marketing metropolitani e recuperare il valore delle cose vere. Qui la mia recensione per Wise Society.

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