- A informarsi, ma questo è ovvio: soprattutto se si scelgono bene i propri amici, e in questo caso la lettura quotidiana dei giornali può venire serenamente sostituita da notizie e commenti di prima mano che i giornalisti selezionati (ma anche i politici, gli intellettuali, i professionisti…) pubblicano ogni giorno sulla loro bacheca.

- A conoscere meglio le persone: la scrittura è forse il più potente strumento rivelatore per capire con chi si ha a che fare, anche perché sono poche le persone che la sanno usare; e quindi è facile che trapelino particolari altrimenti difficili da indagare.
- Ad avvicinare persone lontane, e ad allontanare persone vicine (vedi punto 2): riguardo a questo aspetto, ognuno avrà il suo variopinto repertorio di esperienze gioiose e dolorose.
- A fare una pausa, come al bar: o come alla macchina del caffè con i colleghi, per chi ha avuto esperienza di lavoro in azienda. È vero che si perde un po’ di tempo, ma spesso dopo si ricomincia l’attività con rinnovato ardore.
Sono solo alcuni dei tanti lati positivi riservati ai frequentatori di questo social network che ha cambiato le abitudini di tutti, riducendo di molto il tempo delle telefonate per esempio (basta una breve conversazione con i messaggi privati, e ci si aggiorna, o ci si dà appuntamento senza troppi convenevoli).
Ma invece che continuare la lista di cose buone e utili che Facebook è in grado di scatenare, preferisco elencare qualcuna delle innumerevoli occasioni virtuose che mi sono capitate in questi anni di frequentazione social:
- recuperare persone care sperdute per le vie della città o per le strade del mondo (questa è facile)
- organizzare un aperitivo o una cena con persone che si parlavano da tanto tempo senza mai vedersi in faccia, trovandole tutte interessanti e simpatiche (e poi magari con qualcuna frequentarsi)
- fare amicizia con Anna, intelligente e simpatica vicina di casa con la quale abitavamo da 22 anni a 100 metri di distanza senza esserci mai viste e senza sapere di avere qualche storia in comune
- andare alla presentazione di un libro con la sconosciuta Sara, perché abbiamo interessi simili (e questo succederà mercoledì prossimo)
- conoscere e intervistare Mara, straordinaria VegaChef dalle mille risorse
- scoprire che un signore speciale come Franco aveva un gatto grigio non sterilizzato, ideale per accoppiarsi con la mia giovane gattina in cerca di un fidanzato per fare i cuccioli
- programmare un weekend al mare (o anche a Londra, vediamo) con Silvia, Elena e Maria Grazia (diventate care amiche perché tanto amiche di Stefania, che non c’è più)
- ritrovarsi a cena dalla Emy (sempre grazie a Stefania) e incrociare sorprendenti affinità elettive
- incontrare di persona una donna meravigliosa scrittrice come Fiorella, e tutti i suoi libri da leggere uno dopo l’altro
Devo continuare? Potrei. Invece preferisco concludere affermando “A che cosa non serve Facebook”: a sfogare i propri istinti malevoli, a piombare sulle bacheche altrui per provocare, a scrutare i profili degli altri senza mai farsi vedere, a rubacchiare idee e commenti per farsi belli con le piume del pavone, a polemizzare, ad aggredire chi non la pensa come te… in questi casi, mi spiace dirlo, è opportuno bannare: per una questione di igiene mentale. Io non volevo, all’inizio. Ma poi mi ha convinto che era giusto farlo la mia amica Tiziana, che forse non avrei mai neanche conosciuto se non ci fosse stato Fb. Questo è il senso.
Basta la lettura di questo libro a scardinare per sempre tutta la retorica delle mimose che si è consumata per anni ad ogni angolo di strada, nelle pizzerie, nei finti salotti di convenienza politica quando Berlusconi era al Governo. Troppo facile. È tutto ben spiegato e raccontato da
Questa volta ero sicura di avere tutto (moduli compilati, copia del pagamento in banca, fotocopia documenti, bolli e controbolli aggiuntivi) secondo le istruzioni dell’impiegato piacione
A questo punto esce dal bancone la sua collega, che chiude la corsia riservata alle registrazioni apostrofandomi: “Si metta qui davanti alla coda delle richieste generali, lì allo sportello riservato non c’è nessuno” (intanto giustificate proteste delle persone in coda da un bel pezzo).
Tenta di dissuadermi, non ci riesce. Alcuni astanti dicono che possono testimoniare. Compila un foglio (questo qui a fianco), mi chiede un documento d’identità che mi autorizza a essere ricevuta dal Capo Area Vincenzo Caserta, e sono consapevole del fatto che rischio di perdere il mio turno allo sportello 15, ma non demordo: vado al 2° piano, e segnalo le due impiegate che si comportano in un Ufficio Pubblico come se fosse la loro panetteria personale. Aggiungo alla fine un apprezzamento per la buona volontà dell’impiegato piacione (“Ah, il Santino!” si chiama così, mi dice il signor Caserta). Pare sia il migliore.
Non è necessaria la diagnosi di follia, e neanche l’abuso di psicofarmaci, per trovare il coraggio di ammazzare moglie e figli. Forse basta semplicemente aver paura di riconoscere i propri fantasmi interiori, e sentirsi in diritto di sfogare i propri egocentrici istinti. Lo fanno molti uomini, e non le donne. Perché? Per spiegarlo non bastano i sociologhi: è una materia da psicoanalisti, abituati a scandagliare bene gli oscuri labirinti dell’animo umano. Ma fa venire i brividi leggere quello che scriveva Sibilla Aleramo (oltre un secolo fa!) nel suo primo romanzo (molto autobiografico), con il quale entrò nel mondo della letteratura italiana e internazionale. Una frase a pagina 116 sembra quasi il commento alle gesta del pluriomicida di Motta Visconti che ha sgozzato la sua famiglia per un’incontenibile e incoercibile voglia di libertà. Programmando il suo delitto atroce con freddezza aliena. Così almeno hanno riferito le cronache.
«Tra le due fasi della vita femminile, tra la vergine e la madre, sta un essere mostruoso, contro natura, creato da un bestiale egoismo maschile: e si vendica, inconsapevolmente. Qui è la crisi della lotta di sesso. La vergine ignara e sognante trova nello sposo un cuore triste e dei sensi inariditi; fatta donna ed esperta comprende come il suo amore sia stato prevenuto da una brutale iniziazione. Fra i due torna spesso l’intrusa, e il solo ricordo avvilisce ogni loro bacio.»
Ultimamente ho comprato tante fragole, che sono buone e fanno molto bene alla salute. Mi è capitato di comprarle al mercato e talvolta al supermercato (purtroppo) dove le prendo bio anche se costano quasi il doppio: ma le altre o sono spagnole (vade retro! è il Paese che usa le più alte percentuali di pesticidi e concimi chimici in agricoltura) o sono italiane ma sembrano di plastica e infatti non hanno nessun profumo. In ogni caso, bio o non bio, il giorno dopo erano già un po’ marcette, e quindi lo scarto quasi della metà. Poi ho provato invece a comprare fragole, sempre bio o non bio, provenienti da coltivazioni delle campagne vicino a Milano: strano vero? Non ci si penserebbe che intorno alla metropoli ci sono un sacco di realtà agricole che non chiederebbero di meglio di poter vendere i loro prodotti in città: ma non soltanto negli sporadici mercatini, che bisogna andare a pescare come alla lotteria nei posti e nei tempi più astrusi.
Allora mi chiedo: ma perché nessuno pensa di fare politiche agricole che facilitino il commercio dei buoni frutti della terra, in modo da creare distretti urbani e periurbani efficienti? Non ci vorrebbe molto. Perché non si è pensato, anche a livello locale, che Expo sarebbe stata l’occasione perfetta per costruire questa rete di relazioni economiche virtuose? La risposta non sta soltanto negli scandali di questi giorni per gli arresti dei responsabili Expo.
Ma nella mancante volontà da parte dei nostri decisori pubblici di lasciare ai cittadini una Milano migliore, dopo un’inutile kermesse di grandi opere – a dir poco discutibili – che fin da ora si sta rivelando soltanto dannosa per la Città. E invece, quante belle cose si sarebbero potute fare spendendo molto meno.
Seguendo le turbolente cronache politiche di questi giorni (“Traditore!“, “Demagogo!“, “Bugiardo!”, ” Populista!“), e senza voler scomodare la pagliuzza/trave del Vangelo, mi è tornata in mente la poesia Della Gamberessa e sua figlia che la mia mamma mi recitava sempre quando ero piccola, facendomi tanto ridere. E ho scoperto che fu scritta addirittura nel 1700, da un certo
Perciò l’altro giorno mi è venuto dal cuore di fotografare i lastroni rimossi, almeno per ricordo di un piazzale ottocentesco uguale da cent’anni, come mostra questa foto d’epoca (e da sempre anche bello verde, con i suoi giardinetti).
Adesso non mi spiego come possa succedere che un’assessora sia autorizzata a decidere che quella pavimentazione (tipica di Milano negli ultimi almeno 500 anni) venga smantellata così, sostituita da una sconfinata colata di asfalto (rosso! mi dicono) senza coscienza della responsabilità che l’intera Amministrazione pubblica si sta prendendo nel progetto di devastazione della città.
In nome di che cosa viene distrutto il pavé? dei costi di manutenzione? Ma la manutenzione dell’asfalto costerà ancora di più: non lo dico io, lo sanno e lo sostengono molti autorevoli addetti ai lavori, purtroppo neanche consultati.
E poi, l’asfalto in piazzale Baracca e invece lo stesso pavé che sopravvive miracolosamente in via San Michele del Carso? (come si vede in questa foto). Qual è la logica urbanistica? Non si sa e non si capisce. Inoltre, che fine faranno i masselli? Mi dicono che hanno un grande valore…
Son saltata in macchina con l’orologio che faceva il conto alla rovescia (ottima metafora per la Banca Popolare di Milano di piazza Sicilia), ho raggiunto l’altra filiale in piazza Wagner, ho parcheggiato davanti, in divieto di sosta, temendo di prendermi anche la multa (ma invece no), sono entrata dieci minuti prima della chiusura e siccome c’era coda, il cassiere si è anche lamentato che era tardi, e che se tutti facessero così.. Per vendetta gli ho fatto perdere ulteriore tempo raccontandogli la dolorosa historia, ha detto che sì, in effetti i clienti li può avvisare soltanto la Sede centrale, e che però non essendo sua specifica competenza…
Con il metodo Scotland, ovvero il piano stilato dalla baronessa Patricia Scotland, ex Guardasigilli del governo laburista ed ora membro della Camera dei Lord, fondatrice del Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence (EDV). A chi deve interessare questo risultato? A tutti, uomini e donne, ma soprattutto ai nuovi politici che si accingono a governare dopo le elezioni. I quali, tutti, devono studiare: per capire come si affronta e si risolve questo tragico fenomeno italiano (120 vittime nel 2012!).
compresa una consulente fiscale che vent’anni fa, quando presentai le dimissioni dalla grande azienda editoriale per cui lavoravo, mi disse “Non versi nessun contributo volontario, perché quando lei arriverà all’età della pensione non ci saranno più le pensioni, e questi soldi non glieli restiturà più nessuno. Piuttosto, amministri bene i suoi risparmi e la liquidazione”. Erano gli anni ’90, quindi oggi possiamo dire che già da allora si sapeva che cosa sarebbe successo.
Dunque mi ero organizzata, felice della mia professione di freelance, con un figlio piccolo che non andava ancora all’asilo. Tutto bene? No, perché comunque i miei 11 anni di contributi li ho buttati al vento, nelle casse di uno Stato che non è stato degno di questo nome (
Per fortuna però qualcuno che sa pensare ancora c’è: Emanuele Ferragina, ricercatore catanzarese espatriato che insegna Politiche sociali a Oxford, ha appena pubblicato il libro
Ieri sera ho finito di leggere questo libro. Che meraviglia, leggetelo anche voi. Perché? Perché parla della morte come veramente è, della libertà come tutti la vorremmo, dell’amore come dovrebbe essere e come infatti può accadere.
L’ho divorato, una pagina dopo l’altra, le ultime stanotte facevano sgorgare lacrimoni con singhiozzi inarrestabili. Ma dopo, ho dormito benissimo; e ho sognato che mi ero trasferita in una nuova casa, con un patio e un giardino, bellissima.
Questa è l’illustrazione più corrispondente alla sequenza di 12 movimenti che prima ho imparato e poi insegnato per molti anni: la più classica, perché ci sono anche altre varianti. Meglio non cimentarsi con il Saluto al Sole da autodidatti, perché
Ultima cosa da considerare è che lo yoga non è una ginnastica, ma una forma di preghiera e di meditazione: ogni posizione, ogni movimento, ogni respiro, non serve soltanto a produrre benefici psicofisici, ma anche ad armonizzarsi con l’Universo Infinito; in questo caso salutando il Sole, la nostra stella di riferimento. Il significato di Surya Namaskara infatti è anche devozionale, di ringraziamento per il nuovo giorno che va a incominciare. E il senso di benessere che procura è anche spirituale.
Perché Virginia Mallory e Adriano Goldstein non rimangono insieme fin dal loro primo incontro in quella ventosa primavera del millenovecentoquarantasei? Come se fosse facile, rispondere alla eterna universale domanda letteraria «
E insomma, in queste pagine che perlustrano una piccola isola immaginaria «…non troppo lontana dal Tropico del Cancro» brilla tutta l’intelligenza sentimentale e narrativa di
Un amore, un grande amore: per una scrittrice che ti catapulta nei travagli di due donne – in flashback due bambine poi due ragazze – e ti fa vivere ogni conflitto attraverso lo sguardo opposto di entrambe, senza mai mollare la presa. Ma forse che quelle due ragazze Lila e Lenù sono una stessa persona? Potrebbe sembrare, in un certo senso: una donna d’azione che cerca di cavarsela in modo primitivo, spinta dall’istinto di sopravvivenza e con mezzi rudimentali; l’altra che, come in uno specchio, affronta le difficoltà invece come donna di pensiero, che agisce poco e osserva, soffrendo l’ingiustizia e spesso l’esclusione.
Ma che Ferrante sia una grande scrittrice lo dicono già da tempo opinioni autorevoli e tante recensioni persino in America e nel mondo anglosassone:
È diventato ormai un personaggio famoso anche a livello mediatico, dopo le interviste rilasciate a
Alla fine, un delizioso buffet preparato dai VegaChef di Cascina Rosa (
Consigliatissimo: perché si ride, e molto, e fin dall’inizio, tuffandosi nella lettura del’ultimo romanzo di Piersandro Pallavicini che comincia così: «Sto per decollare verso Londra, dove dovrei sistemare le cose con quel mentecatto di mio fratello Edo». Un incipit, una garanzia (
Mi aspetto che il meccanimo narrativo funzioni perfettamente, proprio come un giallo. E credo che non rimarrò delusa perché ho capito, mentre mi divertivo seguendo i fatti (a volte ridendo anche da sola, fragorosamente), che Pallavicini ha una marcia in più: di mestiere fa lo scienziato; lo dice la biografia in copertina compresa di
«Video, sed non invideo» diceva Sant’Agostino, che la sapeva lunga. Pensare che è così bello, invece, «stravedere» per qualcosa: entusiasmarsi, fare il tifo, gioire per i successi di qualcuno. Se ci si sente altrettanto in grado di conquistare sempre nuove mete, conseguire obiettivi e realizzare desideri, non si prova invidia: piuttosto ammirazione e felicità per una sorte benevola che domani potrebbe sorridere dalla nostra parte. La Strega di Biancaneve non lo sapeva, altrimenti non avrebbe fatto quella brutta fine.
Per partecipare al Milano 48 ore – Instant Movie Festival (
È stata un’esperienza fantastica, tutta al femminile (soggetto, storia, testi, attrice, regia, voci). Abbiamo lavorato come pazze per due giorni anche di notte, a volte con le mani nei capelli (come testimonia la foto): ma in un costante stato adrenalinico che ci faceva divertire, inventare, assemblare, creare parole insieme a dissolvenze e assolvenze, registrare, montare.
Gli ultimi interventi sono stati frenetici: tante piccole correzioni (e quante altre avremmo voluto farne, ma il tempo scadeva… “Basta dai, masterizziamo e va bene così, è bellissimo!“).
Maschile o femminile? Femminile o femminista? Tutto insieme. Chi ancora non conosce le inchieste alla maniera di Petra Delicado, ispettore della Polizia di Barcellona, si affretti a scoprire
Qualche esempio tratto da Un bastimento carico di riso, Sellerio editore come tutti gli altri gialli di questa autrice:
Anche sì. Il mio dentista da circa vent’anni non si sente più obbligato a prescrivere antibiotici dopo estrazioni, impianti, e persino in caso di courretage (che è una tecnica terapeutica abbastanza cruenta). Come mai? Perché oltre che fare molto bene il suo mestiere di dentista, gli piace anche fare il medico. E ha continuato sempre a studiare e a perfezionarsi, andando oltre la semplice specialità di odontoiatria. Ha frequentato il corso postuniversitario triennale della Guna in Omeopatia e Omotossicologia, e ai suoi pazienti prima di ogni intervento consiglia di assumere in dosi appropriate Echinacea compositum e Arnica compositum: la prima previene le infezioni, la seconda le infiammazioni. Naturalmente prima di praticare queste terapie, ha esaminato studi scientifici che ne confermavano l’efficacia, ma nonostante tutto capitava che all’inizio alcuni suoi colleghi storcessero il naso: «Come, senza antibiotici? Ma è una pazzia» dicevano, trascurando però i numerosi effetti collaterali che hanno gli antibiotici, ampiamente descritti sui terrorizzanti bugiardini che si preferiscono non leggere. Eppure.
Per scandalizzare fino in fondo gli scettici, o peggio ancora i prevenuti, bisogna dire che il dottor Wxxxxx (non gli ho chiesto l’autorizzazione a citarlo pubblicamente, ma posso farlo in privato con chiunque) non è tanto contrario agli antibiotici per partito preso, ma è invece è piuttosto critico rispetto al modo in cui i medici li prescrivono: in genere senza antibiogramma, indispensabile per l’efficacia della terapia contro il batterio specifico; altrimenti, è come puntare alla lotteria, anche se il paziente non lo sa. Il mio caro dottore dice sempre che gli antibiotici, se vanno usati, vanno usati bene: bene vuol dire anche solo in casi necessari. E siccome è un dentista bravo ma anche un medico olistico che non cura solo i denti ma tutta la persona, caso per caso preferisce utilizzare il test chinesiologico per capire se quella persona, e non un’altra, è più adatta alle terapie convenzionali oppure no. Poi sceglie di conseguenza. Siamo lontani dalle sciocche dicerie che le medicine non convenzionali non fanno niente, che i medici non tradizionali sono dei criminali etc. etc.: lontani anni luce. E più vicini al lume della ragione.
La scrivo qui così le amiche che me l’hanno chiesta ce l’hanno sempre a portata di mano: è semplicissima. Si mescola la farina di ceci con l’acqua in rapporto 1 a 3 (250 di farina, 750 di acqua) e si lascia decantare la miscela tutta la notte. Il giorno dopo si aggiunge un po’ di olio (mezzo bicchiere? io ne metto meno). Si fanno saltare le verdure in padella (a piacere, oggi io ci ho messo porro zucchine e patate, ma va bene qualsiasi verdura). Sale, un pizzico di pepe, erbe aromatiche (salvia, rosmarino e timo). Si inforna in una teglia oliata per un’oretta circa, prima a fuoco alto e poi più basso. Fine.
Ma potete inventarla anche voi: golosa e salutare nella misura e con gli ingredienti che preferite. L’importante è partire con 2 bicchieri di riso integrale (biologico, ovviamente), e il doppio di acqua per farlo cuocere senza disperdere le buone sostanze nutritive che contiene. Poi durante la cottura si aggiungono verdure a scelta: ieri ci ho messo
Per aromatizzare timo, salvia e rosmarino (benefici a iosa!) che non mancano mai nel mio piccolo giardino domestico. E un cucchiaino di
Velocissimo, un consiglio importante ai miei 3680 e fischia amici Fb (molti di loro lo sanno già perché qualche volta abbiamo festeggiato il Capodanno insieme): a mezzanotte, brindando, tenere a portata di mano un po’ di datteri, mangiarli nel mentre si sorseggia, e poi tenere i noccioli di quelli mangiati, impacchettarli bene nel domopack e custodire il pacchettino sigillato per tutto l’anno nel portafoglio insieme alle monete. Capito a che cosa servono, vero?
Per fortuna in natura e in commercio ci sono tanti altri tipi di latte (di soia, di riso, di orzo, di avena, di mandorle…) con i quali è possibile prepararsi in casa squisiti e salutari Formaggi Veg, titolo del libro (Edizioni Sonda, 224 pagine, 600 fotografie a colori con le istruzioni di ogni ricetta passo per passo; acquistabile in libreria o 


Chi dice che la cucina vegetariana Veg è triste, avrebbe dovuto esserci l’altra sera al delizioso Happy Hour della VegaChef Mara Di Noia (
Qualche esempio? Abbiamo assaggiato dei roll sushi fantastici, molto più buoni di quelli dei ristoranti giapponesi: peccato che tra gli ingredienti non ci fosse pesce (e sulla qualità del pesce dei ristoranti giapponesi stendiamo un velo..), ma l’immancabile alga nori, verdurine varie e tofu affumicato.
Vogliamo parlare delle polpettine vegetali con l’hummus? Un classico, ma che squisitezza.
Delle insalate di riso di tutti i colori e con legumi di ogni tipo? Di focaccette e pizzette insaporite dalle erbe aromatiche? E quella salsina verde che ho preso tre volte, insieme alle crudités? Divina.
che si svolgono nello stesso posto piacevole e familiare dell’altra sera,
Obbligatorio però spendere qualche parola sulla bontà suprema dei dolci Veg: crostata di frutta (senza latte, burro, uova… incredibile!) e torta al cioccolato (idem) tagliata in morceaux quadrati che sono immediatamente andati a ruba: non è la prima volta che assaggio
torte di cioccolato vegane che surclassano quelle abituali straburrose, buone ma anche subito stucchevoli, stracaloriche e complicate anche da digerire. Ogni volta mi stupisco, ma invece è così. Dunque perché assassinarsi la salute pur di rimanere avvinghiati ai propri pregiudizi? Ma qui il discorso potrebbe svoltare a livello filosofico su tanti altri aspetti della vita, e sarebbe off topic.
Meglio gioire di un Happy Veg Hour con tanta gente simpatica e cordiale, accompagnato da bottiglie di un ottimo Prosecco di Valdobbiadene e, per gli astemi, da caraffe di
Dopo il lancio del suo nuovo libro Osti sull’orlo di una crisi di nervi (Ed. Terre di Mezzo, 10 euro) pochi giorni fa alla Biblioteca del Parco Sempione, un altro happening lunedì 24 ore 19 alla libreria Malafarina (specializzata in cultura gastronomica) di Milano. Se appena posso ci torno, a sentire la presentazione (
Cattivo come l’Uomo Nero? No no, non è così, garantisco, nonostante le sembianze: Visintin è una persona molto amabile! È soltanto un Uomo Mascherato che ha la mania di visitare i ristoranti in incognito e a sorpresa, senza farsi riconoscere. Perciò non può mostrare la sua faccia, e preferisce intabarrarsi (come nella foto) anche in una torrida giornata di giugno, piuttosto che svelarsi a chicchessia. Un comportamento «irritante», per molti. «Etico», per altri. «Troppo etico!» per altri ancora. Però alla fine tutti adorano le sue recensioni, che guarda caso in questo modo corrispondono sempre a verità, senza fare sconti a nessuno. Mentre fanno anche parecchio ridere, invece. Insomma, vien proprio da dire “Chapeau!”. Sarà per quello che indossa sempre anche il cappello?
È il titolo di un libro-inchiesta appena uscito in cui si denunciano, dati alla mano, le più importanti truffe alimentari che avvengono sotto i nostri occhi di consumatori quasi sempre ignari: con i consigli per non cascarci. Pare proprio, infatti, che anche la dieta mediterranea sia diventata il nuovo business della mafia, altro che «made in Italy». E come accade negli altri settori, i controlli sono troppo pochi (ulteriori dettagli sul giro d’affari della criminalità organizzata nel settore agroalimentare
Su 9 bottiglie di olio evo, solo 7 sono autentiche e solo 4 sono italiane. E così per i pomodori: su 4 lattine, 3 sono italiane per finta, perché confezionate con pomodori che arrivano dalla Cina compresi di muffe e scarti illegali. Mozzarella di bufala? Il 50% è fatta con latte straniero (India, Polonia, Lituania), e conviene comprarla solo se costa almeno 11 euro al chilo. Non parliamo neanche dei formaggi fusi: quelli invece sono fabbricati con latticini marci asiatici riciclati dalla camorra; meglio comprare formaggi con nomi veri come fontina, parmigiano, pecorino. E attenzione anche al prosciutto, per chi lo mangia: 1 su 4 soltanto è italiano, anche se marchiato Parma o San Daniele.
Del pane avevo già parlato
Non è indispensabile usare la carne per realizzare ricette gustose, e questo è un esempio. Il seitan è un cibo molto proteico, e anche salutare. Si trova ormai biologico in quasi tutti i supermercati: basta saperlo cucinare nel modo giusto. Alla veneziana, per dire. Quando lo preparo per i miei ospiti, piace a tutti.
E così, dopo il sublime Casatiello di Luigi (sublime proprio), la Torta salata e le Polpettine vegetali opera della padrona di casa, i Porri gratinati di Maura, c’era il mio Tofu al curry con radicchio rosso porri e noci (accompagnato con riso basmati al vapore aromatizzato con cannella, chiodi di garofano e cumino): il famoso tofu, fonte preziosa di proteine (ne ho già parlato
Ovvio, bisogna cucinarlo, come la stragrande parte degli alimenti (qualcuno ha mai mangiato una bistecca o un uovo crudi? non so, non devono essere tanto buoni). Fatto sta che il mio Tofu al curry ha cominciato a girare tra i commensali, e siccome mi sono distratta un attimo non ho fatto in tempo a fotografarlo nella sua integrità originaria che tutti già dicevano “ma che squisito, ma come l’hai fatto, che cosa ci hai messo?”. La ricetta è sempre quella che ho già postato
Per la cronaca (di una vittoria annunciata), la cena si è conclusa con il
Arrivi e subito ti viene offerto un calice di Prosecchino quello buono, già questo è un piacere. Sai che stai andando a mangiare soprattutto un pesce di ottima qualità che lo chef Alex sa tagliare secondo la cultura orientale, ma cucinare inventando originali ricette della tradizione mediterranea.
Noi per esempio abbiamo scelto Tentacoli di piovra ai pistacchi, Tartare di tonno con riso basmati e purea di avocado, Hamburger di salmone scottato su riso condito con alghe marinate e salsa teriyaki.
Non ho resistito al Fritto misto Shiki con zucchine e salsine varie. E nel cestino del pane c’erano pagnottine fatte in casa al sesamo, alle olive, integrali con le noci: deliziose. Volevamo assaggiare di tutto, e il bello di Shiki è che non ci sono schemi, si può ordinare ciò che si vuole e ogni piatto costa 7.50 euro. Perciò è perfetto anche un piatto solo per un gustoso spuntino prima o dopo il cinema (l’Anteo è proprio lì a due passi) con magari un dessert prelibato (euro 6,50).
Nel nostro caso non ci siamo fatti mancare il particolare Tiramisù destrutturato di Alex del quale avevamo sentito parlare, e la Pasta fillo con panna montata e fragole, entrambi golosi ma anche leggeri.
Abbiamo bevuto un Gewürztraminer da urlo, e lo si capiva anche senza essere veri intenditori: fruttato, speziato, leggermente affumicato. Si mangia con le bacchette o con le posate, a piacere. La cucina è aperta fino a mezzanotte. La musica è bassa in sottofondo, poi aumenta di volume e viene quasi voglia di ballare. Luci soffuse e atmosfera simpatica. Sì, insomma, lo Shiki è un ristorante tutto diverso dagli altri. E si sta proprio bene.
Milano, via Solferino 35