Si vive meglio senza le virgolette. E diciamolo, senza timore di offendere nessun utilizzatore abusivo della punteggiatura. Chi l’ha insegnato? Raffaele Crovi e Giuseppe Pontiggia, scrittori italiani del ‘900 e anche consulenti editoriali, i quali nel lontano 1984 furono maestri e organizzatori dei primi corsi di scrittura creativa in Italia, che ebbero luogo al Teatro Verdi di Milano: corsi annuali in cui prima di tutto si imparava a leggere, navigando nella letteratura di tutti i tempi.
E dopo, si ragionava sulle regole da rispettare per scrivere e farsi leggere, prima tra tutte “Mai le virgolette”: ovvero (come in questo caso) bisogna usarle soltanto a proposito, cioé per definire un enunciato, una citazione, un soprannome. Perché?
Perché – dicevano Crovi e Pontiggia – le virgolette usate in tutti gli altri casi invece interrompono la lettura, mettono a disagio il lettore e gli fanno perdere la tensione emotiva suscitata da quel contenuto. Scrivere per esempio di una “casa” in cui possono ritrovarsi i sinceri democratici, oppure di una proposta per i “giovani”, sortisce l’effetto di far fermare chi legge per chiedersi “In che senso?” (quest’ultimo, invece, uso appropriato), rendendo confuso il messaggio. I bravi scrittori queste cose le sanno. Ma tanti giornalisti e comunicatori invece no. E qualche volta, il giornalismo e la comunicazione hanno molto bisogno di essere efficaci. Forse ancora di più della letteratura.
Non cura solo il mal di schiena, ma anche gli organi interni: problemi digestivi, neurologici, persino odontoiatrici e anche psicologici. Chi l’ha provata sa che l’osteopatia è una terapia molto efficace per risolvere i disturbi più disparati – emicrania, insonnia, sinusite – con poche sedute e sempre rispettando l’unità tra corpo, mente e spirito.
Arrivi e subito ti viene offerto un calice di Prosecchino quello buono, già questo è un piacere. Sai che stai andando a mangiare soprattutto un pesce di ottima qualità che lo chef Alex sa tagliare secondo la cultura orientale, ma cucinare inventando originali ricette della tradizione mediterranea.
Noi per esempio abbiamo scelto Tentacoli di piovra ai pistacchi, Tartare di tonno con riso basmati e purea di avocado, Hamburger di salmone scottato su riso condito con alghe marinate e salsa teriyaki.
Non ho resistito al Fritto misto Shiki con zucchine e salsine varie. E nel cestino del pane c’erano pagnottine fatte in casa al sesamo, alle olive, integrali con le noci: deliziose. Volevamo assaggiare di tutto, e il bello di Shiki è che non ci sono schemi, si può ordinare ciò che si vuole e ogni piatto costa 7.50 euro. Perciò è perfetto anche un piatto solo per un gustoso spuntino prima o dopo il cinema (l’Anteo è proprio lì a due passi) con magari un dessert prelibato (euro 6,50).
Nel nostro caso non ci siamo fatti mancare il particolare Tiramisù destrutturato di Alex del quale avevamo sentito parlare, e la Pasta fillo con panna montata e fragole, entrambi golosi ma anche leggeri.
Abbiamo bevuto un Gewürztraminer da urlo, e lo si capiva anche senza essere veri intenditori: fruttato, speziato, leggermente affumicato. Si mangia con le bacchette o con le posate, a piacere. La cucina è aperta fino a mezzanotte. La musica è bassa in sottofondo, poi aumenta di volume e viene quasi voglia di ballare. Luci soffuse e atmosfera simpatica. Sì, insomma, lo Shiki è un ristorante tutto diverso dagli altri. E si sta proprio bene.
Milano, via Solferino 35




Chissà se è consapevole del fatto che il gioco d’azzardo è una vera malattia: una dipendenza governata da un certo tipo di recettori cerebrali del sistema limbico ben visibili attraverso la PET (come illustra la foto), gli stessi che governano il consumo di oppiacei, l’alcolismo, e anche l’addiction scatenata da un certo tipo di cibo, quella che provoca l’obesità. Invece che favorire buone pratiche – e bisognerebbe cominciare proprio da un serio programma di nuova economia alimentare! – si preferisce favorire le lobby dell’addiction. Orrore. 