Invidia = Invideo

Non scandalizziamoci, è il sentimento più diffuso al mondo (e lo si vede molto bene anche attraverso Facebook, straordinario osservatorio social antropologico). Ci arriva addosso in eredità dal latino «invideo» che oggi si protrebbe tradurre come un «non ti posso vedere», in senso gergale però: nonostante io ti guardi, magari anche ammirandoti per i tuoi meriti, le tue doti e i tuoi talenti, mi sei antipatico, non ti considero, mi giro dall’altra parte, faccio finta di non vederti. Non prendetevela quindi se i vostri migliori amici fanno finta di non vedere qualcosa che pubblicate a cui tenete molto. Sono le debolezze umane, non ce la fanno proprio a gioire con voi, e a causa di questo atteggiamento maligno vivranno un po’ più tristi. Compatiteli (questa volta nel senso letterale, etimologico e buddhista di cum e pathos). Fb è l’implacabile specchio virtuale (Specchio, specchio delle mie brame…) di una realtà spesso già abbastanza deformata all’origine.

invidia-282x300«Video, sed non invideo» diceva Sant’Agostino, che la sapeva lunga. Pensare che è così bello, invece, «stravedere» per qualcosa: entusiasmarsi, fare il tifo, gioire per i successi di qualcuno. Se ci si sente altrettanto in grado di conquistare sempre nuove mete, conseguire obiettivi e realizzare desideri, non si prova invidia: piuttosto ammirazione e felicità per una sorte benevola che domani potrebbe sorridere dalla nostra parte. La Strega di Biancaneve non lo sapeva, altrimenti non avrebbe fatto quella brutta fine.

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Un film in 48 ore: magia!

fotofilmPer partecipare al Milano 48 ore – Instant Movie Festival (qui il contest) bisognava ritirare la sera di venerdì 13 giugno una busta chiusa contenente il tema generale a cui ispirarsi [che per tutti i partecipanti era: [(S)FORTUNA] e un oggetto particolare che avrebbe dovuto assumere un certo rilievo nel film [nel nostro caso: un mazzo di carte napoletane]. Da quel momento le due registe Patty e Andrea con l’assistente Marina hanno cominciato a girare, girare, girare: fisicamente e cinematograficamente per la città (prima di tutto le carte! regalate dall’Osteria del Biliardo di Affori, da mettere subito in lavatrice e poi nel thè per farle sembrare antiche). E poi, macchina in mano e a mano, per girare davvero il film: la storia di una donna, una cantante lirica  che arriva a Milano per un’importante audizione alla Palazzina Liberty (l’attrice protagonista Susie Georgiadis è veramente una cantante lirica, nella vita; e la voce della colonna sonora è sua, compresa l’audizione si sabato mattina 14 giugno, quindi per puro caso autentica). Spera, come ogni volta, che questa sia quella decisiva per la sua carriera di artista: condizione universale in cui ogni artista si può riconoscere.

Milano per la protagonista è il ricordo della magnifica zia Alda, donna coraggiosa nel superare molte sfide e grande appassionata di lirica (che la chiamava affettuosamente Musetta, come il personaggio della Bohème, da cui l’aria «Quando m’en vo» del titolo). E Musetta, dopo l’audizione, ispirata da Alda, si ritrova seduta sul gradone della fontana del Castello proprio come nella storica fotografia che la zia le ha lasciato insieme ad altri oggetti/talismano: una collana di perle, e le carte che amava utilizzare per consultare il futuro. Musetta sa che il 5 di quadri significa «sorpresa, novità, messaggio felice», e la usa per riparare la scarpa consumata dai passi del suo sempre faticoso cammino professionale.

manineicapelliÈ stata un’esperienza fantastica, tutta al femminile (soggetto, storia, testi, attrice, regia, voci). Abbiamo lavorato come pazze per due giorni anche di notte, a volte con le mani nei capelli (come testimonia la foto): ma in un costante stato adrenalinico che ci faceva divertire, inventare, assemblare, creare parole insieme a dissolvenze e assolvenze, registrare, montare.
Dopo circa 30 ore, il film magicamente esisteva! (eccolo qui). consegnaGli ultimi interventi sono stati frenetici: tante piccole correzioni (e quante altre avremmo voluto farne, ma il tempo scadeva… “Basta dai, masterizziamo e va bene così, è bellissimo!“).

Alla fine, Patty e Andrea sono andate a consegnarlo trionfanti all’Olinda/ex Paolo Pini domenica 15 giugno, un’ora prima della scadenza del regolamento ufficiale. Prima esperienza di questo genere, nata un po’ per caso. E non abbiamo vinto! Ma siamo state così contente, che andremo avanti a fare piccoli film per lavoro e per passione. Ecco il vero senso di questa avventura entusiasmante.

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Sibilla come Cassandra

sibilla_aleramoNon è necessaria la diagnosi di follia, e neanche l’abuso di psicofarmaci, per trovare il coraggio di ammazzare moglie e figli. Forse basta semplicemente aver paura di riconoscere i propri fantasmi interiori, e sentirsi in diritto di sfogare i propri egocentrici istinti. Lo fanno molti uomini, e non le donne. Perché? Per spiegarlo non bastano i sociologhi: è una materia da psicoanalisti, abituati a scandagliare bene gli oscuri labirinti dell’animo umano.  Ma fa venire i brividi leggere quello che scriveva Sibilla Aleramo (oltre un secolo fa!) nel suo primo romanzo (molto autobiografico), con il quale entrò nel mondo della letteratura italiana e internazionale. Una frase a pagina 116 sembra quasi il commento alle gesta del pluriomicida di Motta Visconti che ha sgozzato la sua famiglia per un’incontenibile e incoercibile voglia di libertà. Programmando il suo delitto atroce con freddezza aliena. Così almeno hanno riferito le cronache.

UnaDonna3_low«Tra le due fasi della vita femminile, tra la vergine e la madre, sta un essere mostruoso, contro natura, creato da un bestiale egoismo maschile: e si vendica, inconsapevolmente. Qui è la crisi della lotta di sesso. La vergine ignara e sognante trova nello sposo un cuore triste e dei sensi inariditi; fatta donna ed esperta comprende come il suo amore sia stato prevenuto da una brutale iniziazione. Fra i due torna spesso l’intrusa, e il solo ricordo avvilisce ogni loro bacio.»

Sibilla Aleramo, Una donna (1906)

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Fragole & Marketing

fragoleUltimamente ho comprato tante fragole, che sono buone e fanno molto bene alla salute. Mi è capitato di comprarle al mercato e talvolta al supermercato (purtroppo) dove le prendo bio anche se costano quasi il doppio: ma le altre o sono spagnole (vade retro! è il Paese che usa le più alte percentuali di pesticidi e concimi chimici in agricoltura) o sono italiane ma sembrano di plastica e infatti non hanno nessun profumo. In ogni caso, bio o non bio, il giorno dopo erano già un po’ marcette, e quindi lo scarto quasi della metà. Poi ho provato invece a comprare fragole, sempre bio o non bio, provenienti da coltivazioni delle campagne vicino a Milano: strano vero? Non ci si penserebbe che intorno alla metropoli ci sono un sacco di realtà agricole che non chiederebbero di meglio di poter vendere i loro prodotti in città: ma non soltanto negli sporadici mercatini, che bisogna andare a pescare come alla lotteria nei posti e nei tempi più astrusi.

Questa cassetta di fragole, che ho preso ieri appunto in un posto astruso, stamattina inondava la cucina di un profumo che mi ha ricordato tempi antichi: oggi ci farò una bella macedonia (con succo di mela e foglie di menta, squisita!) poi magari anche un rapida marmellata da consumare nei prossimi giorni a colazione; vien proprio voglia di catturare le proprietà organolettiche che i frutti freschi possiedono, abituati come siamo a mangiare quelli che sembrano di plastica dopo aver fatto lunghi viaggi e soste in grandi magazzini dove vengono trattati o anche irradiati/aromatizzati/gasati per maturare artificialmente e poi mantenere la loro finta freschezza. Queste invece arrivano da Cassina de’ Pecchi, hinterland milanese verso est.

1010081_591846740897451_1801751416_nAllora mi chiedo: ma perché nessuno pensa di fare politiche agricole che facilitino il commercio dei buoni frutti della terra, in modo da creare distretti urbani e periurbani efficienti? Non ci vorrebbe molto. Perché non si è pensato, anche a livello locale, che Expo sarebbe stata l’occasione perfetta per costruire questa rete di relazioni economiche virtuose? La risposta non sta soltanto negli scandali di questi giorni per gli arresti dei responsabili Expo. 1896825_580354652046660_1126985515_nMa nella mancante volontà da parte dei nostri decisori pubblici di lasciare ai cittadini una Milano migliore, dopo un’inutile kermesse di grandi opere – a dir poco discutibili – che fin da ora si sta rivelando soltanto dannosa per la Città. E invece, quante belle cose si sarebbero potute fare spendendo molto meno.
(nelle foto: l’ExpoGate di piazza Castello
e la bara che dovrebbe essere un Ufficio Informazioni in piazza San Babila
)

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Ho inventato la torta di riso

tortarisoMa potete inventarla anche voi: golosa e salutare nella misura e con gli ingredienti che preferite. L’importante è partire con 2 bicchieri di riso integrale (biologico, ovviamente), e il doppio di acqua per farlo cuocere senza disperdere le buone sostanze nutritive che contiene. Poi durante la cottura si aggiungono verdure a scelta: ieri ci ho messo porri (dalle molteplici virtù terapeutiche), topinambur (riequilibranti di glicemia e colesterolo), un cespo di radicchio rosso (depurativo al massimo).

erbearomatichePer aromatizzare timo, salvia e rosmarino (benefici a iosa!) che non mancano mai nel mio piccolo giardino domestico. E un cucchiaino di curcuma, che ci sta sempre bene perché è quasi una medicina. Alla fine, spento il fuoco, ho aggiunto pecorino grattugiato e formaggi di capra spezzettati (a chi non mangia formaggio suggerisco gli ottimi e saporiti Formaggi Veg che l’amica Grazia Cacciola (blog: www.erbaviola.com) insegna a preparare nel suo ultimo libro presentato in questo precedente post). Fatto. Poi basta infornare per un’oretta a fuoco medio, perché il pecorino faccia una deliziosa crosticina in superficie mentre la consistenza della torta si rapprende in modo da essere tagliata a fette.

Ultima notazione: è un piatto economico e tuttavia pregiato, perché ricco e calibrato dal punto di vista nutrizionale. Un format in cui basta cambiare gli ingredienti (al posto dei formaggi per esempio si possono utilizzare le lenticchie rosse con il curry della tradizione indiana… viene benissimo!) per sperimentare la torta di riso in molte fantasiose interpretazioni. In più, si sa: il riso integrale è un alimento che fa tanto bene a tutti, come ci dice qui il dottor Berrino. Si tratta quindi di un’idea interessante per conciliare salute e buona cucina.

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Buon Anno con i datteri

palmadadattero_fruttiVelocissimo, un consiglio importante ai miei 3680 e fischia amici Fb (molti di loro lo sanno già perché qualche volta abbiamo festeggiato il Capodanno insieme): a mezzanotte, brindando, tenere a portata di mano un po’ di datteri, mangiarli nel mentre si sorseggia, e poi tenere i noccioli di quelli mangiati, impacchettarli bene nel domopack e custodire il pacchettino sigillato per tutto l’anno nel portafoglio insieme alle monete. Capito a che cosa servono, vero?

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Io ho scoperto questo trucchetto nel lontano 1982 a Cuba: quando alle 18 circa ora locale, su un autobus che stava attraversando Plaza de la Revoluciòn dell’Avana, la mia amica Rossella ha tirato fuori dal giaccone una confezione di datteri portati da Milano e mi ha detto con estrema serietà “Se vuoi che sia un anno prospero economicamente, questi sono indispensabili“. Non avevamo con noi lo champagne, purtroppo. Ma la profezia si è realizzata ugualmente.

Dunque, per non sbagliare, la prima cosa che mi procuro per la mezzanotte della fine d’anno sono i datteri. Chi vuole, provi: anche perché i tempi dal punto di vista economico sono un po’ difficili per tutti, ognuno a modo suo. Poi l’anno venturo ci riparliamo (in trent’anni di questo rito, quella volta che non l’ho fatto me ne sono un po’ pentita. Da allora… prima di tutto i datteri. Con tanti auguri!

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Buon Natale Veg

Chi non conosce la cucina Veg in genere la snobba, si sa. Ma questo l’avevo già scritto nel post precedente dedicato alle prelibatezze della VegaChef Mara di Noia. Invece oggi mi riferisco a un’altra stella splendente del firmamento Veg, Grazia Cacciola, già autrice di molti libri e di quel blog Erbaviola.com dove si può trovare ogni genere di meraviglia alimentare, bricolosa e culturale: la quale Grazia ha da poco pubblicato un nuovo libro molto interessante. Per chi? Per chi ama mangiar bene, in tutti i sensi. E per quelli che preferiscono non consumare latte vaccino (e derivati), che sono sempre più numerosi a causa di strane sostanze presenti negli allevamenti  industriali, probabilmente all’origine di molte intolleranze. Il latte non è più quello di una volta, lo sappiamo; e infatti una volta le intolleranze non c’erano.

formaggiPer fortuna in natura e in commercio ci sono tanti altri tipi di latte (di soia, di riso, di orzo, di avena, di mandorle…) con i quali è possibile prepararsi in casa squisiti e salutari Formaggi Veg, titolo del libro (Edizioni Sonda, 224 pagine, 600 fotografie a colori con le istruzioni di ogni ricetta passo per passo; acquistabile in libreria o su Ibs qui).

Che cosa ho scelto, per cominciare? A pagina 109 la Robiola fresca, ideale per tartine o condimento di primi piatti. A pagina 148 la Crema di formaggio messicana, perfetta sui crostini o sulle patate arrostite alla brace. A pagina 180, le Pennette al sugo di noci, con ottima e salutare panna di soia.

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Ma c’è davvero da sbizzarrirsi, cimentandosi con l’autoproduzione domestica e seguendo i consigli della Grazia, di cui mi fido perché la conosco e so per certo essere una vera, autorevole buongustaia. Chi non è curioso di provare, si perde qualcosa: perché scoprire nuovi sapori, ricette e nuovi modi di cucinare è una delle cose più belle del mondo. Altrimenti il rischio è di trovarsi un giorno in un ristorante di Berlino a ordinare Spaghetti alla bolognese (ricetta tradizionale che a Bologna, tra l’altro, non hanno mai sentito nominare).

Dimenticavo: il libro di Grazia Cacciola è anche un bel regalo per Natale: pensando già al periodo post feste, dopo luculliane libagioni e impennate colesterol/glicemiche. Un po’ di cucina buona e sana fa sempre bene, anche sotto forma di auguri.

 

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A passo di gambero?

previewSeguendo le turbolente cronache politiche di questi giorni (“Traditore!“, “Demagogo!“, “Bugiardo!”, ” Populista!“), e senza voler scomodare la pagliuzza/trave del Vangelo, mi è tornata in mente la poesia Della Gamberessa e sua figlia che la mia mamma mi recitava sempre quando ero piccola, facendomi tanto ridere. E ho scoperto che fu scritta addirittura nel 1700, da un certo Gasparo Gozzi: scrittore e letterato nato a Venezia in una nobile famiglia di origine friulano-dalmata, la cui specialità erano i ritratti satirici morali, e anche molti Sermoni in endecasillabi sciolti in cui «delinea con ironico anticonformismo diversi aspetti del costume contemporaneo», come dice Wikipedia.

Un costume che attraverso i secoli, dai tempi di Mozart e alla maniera di La Fontaine, oggi sembra ancora e più che mai di moda:

“Vede la gamberessa che sua figlia,
nel camminare, mal muove le piante,
ed in cambio d’andar col capo avante,
va con la coda, ond’ella la ripiglia
e dice: Oh che vegg’io! che maraviglia!
Cervellaccio balordo e stravagante,
va’ ritta innanzi: che fai tu, furfante?
Tu vai a rovescio? Di’, chi ti consiglia?

Ma la figlia rispose a’ detti suoi:
io sempre d’imitarvi ebbi desìo,
e non mi par che siam varie, tra noi.
Da voi appresi ogni costume mio;
andate ritta, se potete voi;
e cercherò di seguitarvi anch’io.”

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Il mio pavé

Lo scrivo, non lo scrivo (un post sul pavé), pensavo attraversando piazzale Baracca. Poi non vorrei che sembrasse un’invettiva contro la Giunta comunale (in questo caso la neoassessora Carmela Rozza), e non ho intenzione di fare polemiche su dinamiche di potere che non mi riguardano, anche se la gestione politica mi riguarda e mi interessa eccome: in qualità di milanese dalla nascita e grande sostenitrice della mia città in altre epoche più vivaci. Non negli ultimi vent’anni di mortificazione, ovvio. Ma dal 2011 la speranza si era riaccesa. Per fortuna.

Comunque il pavé milanese è sempre stato anche mio: fin da quando ero una bambina di Porta Lodovica e spesso percorrevo corso Italia con la mamma a piedi per andare in centro a “fare le commissioni”. 345gcq9Perciò l’altro giorno mi è venuto dal cuore di fotografare i lastroni rimossi, almeno per ricordo di un piazzale ottocentesco uguale da cent’anni, come mostra questa foto d’epoca (e da sempre anche bello verde, con i suoi giardinetti).
Tutti ammiriamo la pagina di FOTO MILANO SPARITA, comunità Fb con attualmente 57.724 Fan sempre in continuo aumento. voragineAdesso non mi spiego come possa succedere che un’assessora sia autorizzata a decidere che quella pavimentazione (tipica di Milano negli ultimi almeno 500 anni) venga smantellata così, sostituita da una sconfinata colata di asfalto (rosso! mi dicono) senza coscienza della responsabilità che l’intera Amministrazione pubblica si sta prendendo nel progetto di devastazione della città.

mucchioneIn nome di che cosa viene distrutto il pavé? dei costi di manutenzione? Ma la manutenzione dell’asfalto costerà ancora di più: non lo dico io, lo sanno e lo sostengono molti autorevoli addetti ai lavori, purtroppo neanche consultati. Qui Luca Beltrami Gadola il 20 luglio, per esempio.

Le biciclette, sento dire. Anch’io vado in bici, e so quanto spaventosi siano quei tratti di pavé con il binario subito lì a sinistra e il marciapiede a destra, buche comprese (tipo in corso Magenta): infatti in quei casi non esito a salire sul marciapiede, bici alla mano, piuttosto che rischiare la vita. Ma Milano non è mai stata una città molto friendly nei confronti dei due ruote, e non lo diventerà neanche così. Anche perché, volendo e ragionando magari insieme alla cittadinanza, si poteva pensare a qualche pista ciclabile in asfalto sulla destra, possibilmente con il cordone di protezione (le strisce non bastano, gli automobilisti non le rispettano). michelecarsoE poi, l’asfalto in piazzale Baracca e invece lo stesso pavé che sopravvive miracolosamente in via San Michele del Carso? (come si vede in questa foto). Qual è la logica urbanistica? Non si sa e non si capisce. Inoltre, che fine faranno i masselli? Mi dicono che hanno un grande valore…

Insomma attenzione, perché poi succede che gli anni passano e i fatti restano: “La fontana di Cairoli? se l’è presa Bettino; le brutte  fontane di San Babila che hanno stravolto la piazza? colpa di Formentini; gli scavi per i parcheggi sotto Sant’Ambrogio? follie della Giunta Moratti; quel pavé così antico e prezioso soppiantato da un volgare asfalto che si buca ogni anno? l’ha voluto Pisapia…” . Non vogliamo, vero?

Allora fermatevi, se siete ancora in tempo. Non solo ve lo chiede una ex bambina di città, una tra tante e tanti. Ma di sicuro anche i 57.724 e fischia iscritti alla pagina FOTO MILANO SPARITA e molte altre persone che vi stanno guardando. In questo caso, un po’ male.

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A Milano, Happy Veg Hour

happyhourChi dice che la cucina vegetariana Veg è triste, avrebbe dovuto esserci l’altra sera al delizioso Happy Hour della VegaChef Mara Di Noia (qui la sua storia, nella mia intervista per il magazine Wise Society), che la sa molto lunga sulla golosità tanto quanto sull’alimentazione salutare: per le persone, per l’ambiente, e persino per i nostri amici a quattro zampe. rollsushiQualche esempio? Abbiamo assaggiato dei roll sushi fantastici, molto più buoni di quelli dei ristoranti giapponesi: peccato che tra gli ingredienti non ci fosse pesce (e sulla qualità del pesce dei ristoranti giapponesi stendiamo un velo..), ma l’immancabile alga nori, verdurine varie e tofu affumicato.
polpettineVogliamo parlare delle polpettine vegetali con l’hummus? Un classico, ma che squisitezza. risoDelle insalate di riso di tutti i colori e con legumi di ogni tipo? Di focaccette e pizzette insaporite dalle erbe aromatiche? E quella salsina verde che ho preso tre volte, insieme alle crudités? Divina.

Non posso svelare le ricette, perché non è il mio mestiere: Mara le insegna durante i suoi molteplici corsi di cucina (senza latte, senza lievito, senza glutine.. tutte le info sul sito www.vegachef.it) gazeboche si svolgono nello stesso posto piacevole e familiare dell’altra sera, Interno23 in viale Piceno 23 a Milano: un grande salone con angolo cucina superattrezzato, un megatavolo per mangiare tutti insieme ciò che si prepara, e un’accogliente terrazza con divani e gazebo per intrattenersi anche outdoor durante la bella stagione.

crostataObbligatorio però spendere qualche parola sulla bontà suprema dei dolci Veg: crostata di frutta (senza latte, burro, uova… incredibile!) e torta al cioccolato (idem) tagliata in morceaux quadrati che sono immediatamente andati a ruba: non è la prima volta che assaggio tortacioctorte di cioccolato vegane che surclassano quelle abituali straburrose, buone ma anche subito stucchevoli, stracaloriche e complicate anche da digerire. Ogni volta mi stupisco, ma invece è così. Dunque perché assassinarsi la salute pur di rimanere avvinghiati ai propri pregiudizi? Ma qui il discorso potrebbe svoltare a livello filosofico su tanti altri aspetti della vita, e sarebbe off topic.

genteMeglio gioire di un Happy Veg Hour con tanta gente simpatica e cordiale, accompagnato da bottiglie di un ottimo Prosecco di Valdobbiadene e, per gli astemi, da caraffe di tè verde Kukicha, considerato elisir di lunga vita dei monaci taoisti perché ricco di vitamine, sali minerali, polifenoli e flavonoidi (qui su Wikipedia tutte le proprietà, con tanto di studi bibliografici): ideale e piacevole da bere alla fine, per concludere una serata all’insegna della salute e del buon gusto.

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